venerdì, Ottobre 11, 2024
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#IntesaScienceNews: Cellule senescenti, la loro eliminazione rallenta l’invecchiamento?

Dopo 7 anni di studi e ricerche arriva una risposta dalla Mayo Clinic ad un importante interrogativo: “l’uccisione delle cellule “zombie” nei topi transgenici può ritardare il loro precoce invecchiamento?”

Nei topi l’eliminazione di particolari cellule senescenti che “si rifiutano di morire”, ha permesso di invertire temporaneamente specifici processi di invecchiamento. Ora i ricercatori si apprestano a testare alcuni farmaci che agiscono su queste cellule zombie anche nell’essere umano. Jan van Deursen e i suoi colleghi della Mayo Clinic di Rochester, in Minnesota: scoprono che l’eliminazione di queste cellule “senescenti” preveniva molti segni del tempo.

La cellula senescente è un tipo comune di cellula che non si divide, che smette quindi di produrre copie di se stessa e inizia a produrre centinaia di proteine e mette in moto a piena potenza i percorsi biologici che ne ostacolano la morte. Dunque possiamo affermare che una cellula senescente si trova al crepuscolo: non è proprio morta, ma non si divide come prima.

La Mayo Clinic è un’organizzazione non-profit per la pratica e ricerca medica che si trova in tre aree metropolitane degli Stati Uniti d’America: Rochester nel Minnesota, Jacksonville in Florida e Phoenix in Arizona.

Jan van Deursen durante uno studio sui topi in materia di tumori, aveva creato dei topi transgenici dall’aspetto decrepito, che anziché sviluppare dei tumori, sperimentavano una malattia sconosciuta. A tre mesi di età, infatti, la loro pelliccia si era diradata e gli occhi erano appannati dalla cataratta.Col trascorrere degli anni capì che i topi stavano invecchiando rapidamente, i loro corpi erano intasati da uno strano tipo di cellule che non si dividevano, ma che non sarebbero morte.

Tale scoperta portò il team della Mayo Clinic alla formulazione di un interrogativo importante, cioè se l’uccisione di queste cellule “zombie” nei topi avrebbe potuto ritardare il loro precoce invecchiamento. La risposta è stata affermativa.

Nel 2011, è stato scoperto che l’eliminazione di queste cellule “senescenti” preveniva molti segni del tempo. Nei sette anni successivi, decine di esperimenti hanno confermato che le cellule senescenti si accumulano durante l’invecchiamento degli organi e che la loro eliminazione può alleviare, o addirittura prevenire, certe malattie.

Uno studio del 2016, ha visto aumentare la durata della vita dei topi che invecchiano normalmente, ma soltanto quest’anno, la ripulitura cellulare nei topi ha dimostrato di ripristinare forma fisica, densità della pelliccia e funzione renale. Inoltre, ha anche migliorato malattie polmonari e riparato la cartilagine danneggiata.

Jennifer Elisseeff, autrice dell’articolo sulla riparazione della cartilagine e ingegnere biomedico alla Johns Hopkins University a Baltimora, in Maryland afferma che rimuovendo queste cellule senescenti è possibile stimolare la produzione di nuovi tessuti, azionando meccanismi di riparazione naturale del tessuto. Questo fenomeno anti-invecchiamento rappresenta nello studio delle cellule senescenti una svolta inaspettata.

Quando i microbiologi Leonard Hayflick e Paul Moorhead usarono il termine senescenza replicativa nel 1961, suggerirono che rappresentasse l’invecchiamento a livello cellulare.

All’epoca le ricerche sull’invecchiamento erano e furono ignorate per decenni.

A metà degli anni duemila, la senescenza era intesa principalmente come un modo per bloccare la crescita di cellule danneggiate, in modo da reprimere i tumori.

Oggi, i ricercatori continuano a studiare come la senescenza emerga nel corso dello sviluppo e durante le malattie. Sanno che quando una cellula muta o subisce una lesione, spesso smette di dividersi, per evitare di passare quel danno alle cellule figlie. Cellule senescenti sono state identificate anche nella placenta e nell’embrione, dove sembrano guidare la formazione di strutture temporanee prima di essere eliminate da altre cellule.

Nel 2008, tre gruppi di ricerca, hanno scoperto che le cellule senescenti secernono un eccesso di molecole che influenzano la funzione delle cellule vicine e stimolano l’infiammazione locale. Il gruppo di Campisi ha descritto questa attività come “fenotipo secretorio associato alla senescenza” della cellula, o SASP (senescence-associated secretory phenotype). In un recente lavoro ancora non pubblicato, il suo gruppo ha identificato centinaia di proteine coinvolte nei SASP.

Più tardi la biologa molecolare Judith Campisi del Buck Institute for Research on Aging a Novato, in California, lo definì “lato oscuro” della senescenza.

Manuel Serrano dell’Istituto di ricerca biomedica di Barcellona, sostiene che in un tessuto giovane e sano queste secrezioni sono probabilmente parte di un processo riparatore, con cui le cellule danneggiate stimolano la riparazione nei tessuti vicini ed emettono un segnale di stress che spinge il sistema immunitario a eliminarle. Eppure, a un certo punto le cellule senescenti cominciano ad accumularsi, un processo legato a problemi come l’osteoartrite, un’infiammazione cronica delle articolazioni, e l’aterosclerosi, un indurimento delle arterie. Nessuno è abbastanza sicuro del perché e quando ciò accada. Ma è stato suggerito che, nel tempo, il sistema immunitario smetta di rispondere alle cellule.
La mancanza di caratteristiche universali rende difficile l’inventario delle cellule senescenti. I ricercatori devono usare un ampio gruppo di marcatori per cercarle nei tessuti, rendendo il lavoro laborioso e costoso, dice van Deursen. Un marcatore universale per la senescenza renderebbe il lavoro molto più facile, ma i ricercatori non conoscono alcuna proteina specifica o processo da sfruttare come marcatore.
All’inizio di quest’anno, però, un gruppo ha sviluppato un modo per contare queste cellule nei tessuti. Valery Krizhanovsky e colleghi al Weizmann Institute of Science di Rehovot, in Israele, hanno applicato marcatori molecolari di senescenza a vari tessuti, per poi visualizzarli e controllare il numero di cellule senescenti in tumori e tessuti anziani prelevati da topi. “C’erano più cellule di quante pensassi”, dice Krizhanovsky. Nei topi giovani, non più dell’uno per cento delle cellule di un qualsiasi organo erano senescenti. Nei topi di due anni, però, in alcuni organi era senescente fino al 20 per cento delle cellule.
Ma c’è un risvolto positivo in queste elusive cellule al crepuscolo: pur essendo difficili da trovare, sono facili da uccidere.

A novembre 2011, durante un volo di tre ore, Ned David, presidente di Unity Biotechnology, ha letto l’articolo appena pubblicato da van Deursen e Kirkland sull’eliminazione delle cellule zombie. Quando il volo è atterrato, David ha immediatamente contattato van Deursen e in 72 ore lo ha convinto a incontrarsi per discutere la creazione di un’azienda anti-invecchiamento.

All’inizio Kirkland, insieme ai suoi collaboratori del Sanford Burnham Medical Research Institute a La Jolla, in California, ha tentato di realizzare un sistema efficiente per identificare rapidamente un composto in grado di uccidere le cellule senescenti. Ma ben presto capì che rilevare un’eventuale influenza di un farmaco su cellule che si dividono o non si dividono fosse “un compito monumentale” e in collaborazione con Laura Niedernhofer e altri ricercatori dello Scripps Research Institute a Jupiter, in Florida, un’altra strada: la ricerca dei meccanismi protettivi da cui dipendo le cellule senescente nel loro stato di “non morte”. Il Team individuò sei vie di segnalazione che prevengono la morte cellulare, cioè vie che le cellule senescenti attivano per sopravvivere.

A questo punto bastava solo di trovare composti che disturbassero quelle vie.

All’inizio del 2015, i ricercatori identificarono i primi senolitici: un farmaco chemioterapico approvato dalla FDA, il dasatinib, che elimina i progenitori delle cellule grasse umane che si sono trasformate in senescenti; un integratore alimentare di origine vegetale, la quercetina, che ha come bersaglio le cellule endoteliali umane senescenti. Nei topi la combinazione delle due sostanze, che funzionano meglio in associazione che non da sole, allevia una serie di disturbi legati all’età.

Dieci mesi dopo, all’University of Arkansas for Medical Sciences a Little Rock, Daohong Zhou e colleghi hanno identificato un composto senolitico, ora noto come navitoclax, che inibisce due proteine della famiglia BCL-2 che di solito aiutano le cellule a sopravvivere. Nel giro di poche settimane risultati simili sono stati ottenuti anche dal laboratorio di Kirkland e da quello di Krizhanovsky.

Ormai in letteratura sono stati descritti 14 senolitici che attivano una via di morte cellulare, ripristinando la lucentezza del pelo e la forma fisica nei topi anziani.

 

Finora, ogni senolitico uccide un particolare tipo di cellula senescente. Affrontare le diverse malattie legate all’invecchiamento richiederà quindi diversi tipi di senolitici.

Le aziende biotecnologiche e farmaceutiche sono interessate a testare senolitici. Unity Biotechnology di San Francisco, in California, co-fondata da van Deursen, prevede di effettuare numerosi trial clinici nei prossimi due anni e mezzo, curando persone affette da osteoartrite, malattie oculari e malattie polmonari.

Se l’eliminazione delle cellule senescenti negli esseri umani sarò di beneficio per le malattie legate all’età, i ricercatori cercheranno di creare terapie anti-età di respiro più ampio, dice David. Nel frattempo, i ricercatori attivi in questo campo insistono sul fatto che nessuno dovrebbe prendere questi farmaci fino a quando non saranno completati i necessari test di sicurezza negli esseri umani.

Se un qualsiasi studio offrirà “un refolo di efficacia sull’essere umano”, ci sarà una forte spinta allo sviluppo di trattamenti e verso una migliore comprensione del processo fondamentale di invecchiamento.

“Continuare a rispondere alle questioni biologiche fondamentali è il modo migliore per arrivare al successo, solo allora saremo in grado di capire che cos’è veramente l’invecchiamento e come interferire in modo intelligente” – Jan van Deursen.

Fonte: LeScienze.it

Articolo a cura di: Agnese Leonardi


Questo era il nostro ultimo articolo per il 2017; un anno davvero molto importante, cogliamo infatti l’occasione per ringraziare tutti i nostri lettori per averci seguito con passione fino a totalizzare quasi 10.000 visualizzazioni! Ritorneremo dal 10 gennaio con tante nuove pubblicazioni e interessanti novità!

“Lo staff di Intesa Science News vi augura buone feste e un felice e proficuo 2018”

 

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